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Alta Langa, le origini del Metodo Classico Piemontese
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In questo articolo, a firma di Giovanni Minetti (Ceo di Tenuta Carretta) si approfondisce la nascita del Metodo Classico Alta Langa. Una storia di innovazione e riscatto, in cui la voglia di dimostrare la vocazione del Piemonte alla spumantistica si trasforma in un’occasione per innovare la viticoltura delle Langhe.
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LE ORIGINI DEL METODO CLASSICO “ALTA LANGA”
di Giovanni Minetti
Gli anni Ottanta stavano per finire – eravamo a novembre del 1989 – e da Oltrepò Pavese, Franciacorta e Trentino tiravano venti contrari alla spumantistica piemontese.
Il tentativo di ridimensionare il ruolo del Piemonte nel salotto buono della spumantistica italiana era palese. Non era certo bastata l’appartenenza delle aziende piemontesi più prestigiose a una casa comune come l’Istituto Italiano Metodo Classico. Ciò che costituiva motivo di riflessione era la consapevolezza che, nonostante le inequivocabili e certificate radici piemontesi del settore spumantistico italiano, che vede la luce a Canelli, in casa Gancia, nella seconda metà dell’800, i protagonisti piemontesi avevano da sempre trascurato il proprio territorio come possibile zona di origine delle uve chardonnay e pinot noir per la produzione di spumanti Metodo Classico, continuando a orientarsi per gli acquisti della materia prima verso Oltrepò Pavese e Trentino. E questa debolezza intrinseca stava venendo fuori in modo evidente.
LA “SANTA ALLEANZA”
Per reagire a questa situazione ed evitare la messa sotto scacco venne in prima battuta proposta una “santa alleanza” tra i territori vitati di tutta l’Italia del Nord, via via poi ridotta al solo Oltrepo Pavese, ricevendo dinieghi anche piuttosto veementi. Costretti a rimanere nell’ambito dei confini regionali, i promotori inizialmente pensavano fosse sufficiente una campagna di tipo giornalistico, anche condotta su larga scala, per sostenere che anche le colline piemontesi erano vocate alla coltivazione e alla produzione di uve da spumante Metodo Classico. Ben presto, però, si capì che un’impostazione del genere non avrebbe portato ad alcun risultato. Non bastava rispondere con una bella enunciazione di vocazionalità. Bisognava dimostrare in modo inoppugnabile che le colline piemontesi erano vocate non solo alla produzione di grandi vini rossi ma che erano anche idonee per le varietà destinate alla produzione di spumanti Metodo Classico di grande qualità.
PROGETTO “METODO CLASSICO IN PIEMONTE”
Furono Gianfranco Caci (Cinzano), Alberto Contratto (Contratto), Alessandro Abbruzzese (Tenimenti di Barolo e Fontanafredda), Vittorio Vallarino Gancia (Gancia), Giorgio Giusiana (Martini & Rossi), Ottavio Riccadonna (Riccadonna) e Giuseppina Viglierchio (Vini Banfi) a firmare il 28 febbraio 1990 il patto di intesa tra le case spumantistiche piemontesi di maggior tradizione che dava avvio al “Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte”.
GLI OBIETTIVI
Due erano gli obiettivi del “Progetto Spumante”. In prima battuta, dimostrare attraverso ricerche e indagini scientifiche rigorose, l’esistenza di condizioni pedologiche e ambientali favorevoli alla coltivazione dei vitigni chardonnay e pinot noir per la produzione di spumanti “Metodo Classico” di alta qualità in Piemonte. Secondariamente, stimolare nell’ambito regionale la nascita e lo sviluppo di un settore viticolo specificamente orientato alla produzione di uve destinate alla trasformazione in vini spumanti elaborati secondo il tradizionale “Metodo Classico” della rifermentazione in bottiglia. I lavori furono avviati affidando la responsabilità tecnico-scientifica del Progetto alla Sezione di Asti dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura, nella persona del suo direttore, dott. Lorenzo Corino, mentre la segreteria e l’attività di comunicazione veniva affidata allo Studio Montaldo, di Alba.
CI VOGLIONO I VIGNETI
Per realizzare il “Progetto” non bastavano le linee guida ma ci volevano le uve, quindi i vigneti.
Alla fine di gennaio del 1991 venne portata sul tavolo dell’Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Emilio Lombardi la proposta di stimolare – nell’ambito di un’ampia fascia collinare nelle province meridionali del Piemonte – l’impianto di alcuni vigneti sperimentali, realizzati secondo rigorosi criteri tecnico-scientifici, al fine di procedere a verifiche più probanti sia degli aspetti viticoli sia di quelli enologici.
Il primo risultato fu la concessione di un primo plafond di 18 ettari di vigneti sperimentali che la Regione Piemonte metteva a disposizione del “Progetto Spumante”. Con l’intervento di supporto e l’assistenza fornita dal tecnico viticolo Giovanni Malerba, sotto la supervisione di Corino e di tutto lo staff dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Asti, nella primavera del 1992 iniziano i lavori di progettazione e di realizzazione dei primi vigneti sperimentali.
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