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Alteno, l’antica forma di allevamento della vite

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Alteno

Spesso ci dimentichiamo che la vite è una liana. Un rampicante che, se fosse lasciato a sé stesso, crescerebbe verso l’alto “aggrappandosi” a qualsiasi supporto: pali, alberi, muri, cespugli. In mancanza di questi, striscerebbe sul terreno, creando complessi grovigli.

È per questo che, a cavallo tra l’inverno e la primavera, dopo la potatura invernale, le viti vengono attentamente legate, a mano, ai propri supporti, pali e fili di ferro, secondo precise tecniche di allevamento che consentono uno sviluppo armonico e razionale.

L’obiettivo è regolare la crescita di ciascuna pianta, concentrando in pochi tralci e poche gemme il futuro sviluppo dei grappoli. E, naturalmente, facilitare la raccolta dei grappoli durante le successive operazioni di vendemmia.

Leggi il nostro post dedicato alla potatura invernale.

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La viticoltura ancestrale, invece, utilizzava la natura rampicante della vite. I ceppi erano piantati nei pressi di alcuni alberi, sul tronco dei quali potevano arrampicarsi. È il cosiddetto sistema della “vigna maritata”, che veniva anche chiamato “alteno”. Una vigna cioè, i cui tralci sono appoggiati a “tutori vivi”: alberi ad alto fusto come pioppi, aceri e gelsi.

L’aspetto di un alteno doveva essere assai diverso da una vigna contemporanea. Tra un albero e l’altro si piantavano delle canne in modo da costruire una struttura a “rete” su cui la vite rampicante poteva allungarsi. I tralci, dunque, iniziavano la propria vita sul tronco, per poi protendersi sulle canne, anche a grandi altezze. I grappoli crescevano come su di un pergolato, anche a 2 o 3 metri dal suolo: potevano così prendere molto sole e, quando pioveva, asciugavano rapidamente, evitando la formazione di muffe.

Sebbene funzionale, l’alteno era molto meno produttivo della vigna contemporanea: bisognava piantare gli alberi oppure trovare luoghi adatti, con tronchi già formati e abbastanza vicini da consentire l’impianto del reticolato a canne. La vendemmia, infine, doveva inoltre essere lunga e faticosa, disagevole a causa dell’altezza dei grappoli.

Alteno Viticoltura ottocento

Vendemmia nel XIX secolo. Si nota l’allevamento ad alteno, anche detto vigna maritata.

L’ALTENO DI TENUTA CARRETTA

Una traccia di “vite maritata” rimane anche a Tenuta Carretta. Non in forma fisica, ma come residuo toponomastico. Nei pressi della cantina, tra i filari che si snodano immediatamente a Est dell’ingresso alla corte, c’è un poggetto che prende il nome di Alteno della Fontana. È il primo corridoio vitato della Grape’s Road, il percorso di vine-trekking che Tenuta Carretta mette a disposizione di tutti visitatori, percorribile in autonomia e commentato da un’audioguida scaricabile gratuitamente sul proprio smartphone.

Leggi il nostro post dedicato alla Grape’s Road

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Il toponimo del luogo è citato, per la prima volta, in un documento del 1594, redatto per volontà dei proprietari della Tenuta, i Damiano, consignori di Piobesi d’Alba.

L’area era caratterizzata dalla presenza di una fontana che allietava i viticoltori dal faticoso lavoro della terra. Ma ciò che risalta è il termine “alteno”, che indica proprio la forma promiscua (e quindi non specializzata) della viticoltura antica. Oltre agli alberi, infatti, l’altezza delle viti permetteva la coltivazione di grano, erba medica, foraggio e fagioli. La coltivazione ad alteno, pur faticosissima, doveva essere uno spettacolo di biodiversità naturale straordinario, in cui tutte le colture trovavano una perfetta simbiosi.

Vine trekking sulla Grape’s Road di Tenuta Carretta

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