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Alteno, l’antica forma di allevamento della vite
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Spesso ci dimentichiamo che la vite è una liana. Un rampicante che, se fosse lasciato a sé stesso, crescerebbe verso l’alto “aggrappandosi” a qualsiasi supporto: pali, alberi, muri, cespugli. In mancanza di questi, striscerebbe sul terreno, creando complessi grovigli.
È per questo che, a cavallo tra l’inverno e la primavera, dopo la potatura invernale, le viti vengono attentamente legate, a mano, ai propri supporti, pali e fili di ferro, secondo precise tecniche di allevamento che consentono uno sviluppo armonico e razionale.
L’obiettivo è regolare la crescita di ciascuna pianta, concentrando in pochi tralci e poche gemme il futuro sviluppo dei grappoli. E, naturalmente, facilitare la raccolta dei grappoli durante le successive operazioni di vendemmia.
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La viticoltura ancestrale, invece, utilizzava la natura rampicante della vite. I ceppi erano piantati nei pressi di alcuni alberi, sul tronco dei quali potevano arrampicarsi. È il cosiddetto sistema della “vigna maritata”, che veniva anche chiamato “alteno”. Una vigna cioè, i cui tralci sono appoggiati a “tutori vivi”: alberi ad alto fusto come pioppi, aceri e gelsi.
L’aspetto di un alteno doveva essere assai diverso da una vigna contemporanea. Tra un albero e l’altro si piantavano delle canne in modo da costruire una struttura a “rete” su cui la vite rampicante poteva allungarsi. I tralci, dunque, iniziavano la propria vita sul tronco, per poi protendersi sulle canne, anche a grandi altezze. I grappoli crescevano come su di un pergolato, anche a 2 o 3 metri dal suolo: potevano così prendere molto sole e, quando pioveva, asciugavano rapidamente, evitando la formazione di muffe.
Sebbene funzionale, l’alteno era molto meno produttivo della vigna contemporanea: bisognava piantare gli alberi oppure trovare luoghi adatti, con tronchi già formati e abbastanza vicini da consentire l’impianto del reticolato a canne. La vendemmia, infine, doveva inoltre essere lunga e faticosa, disagevole a causa dell’altezza dei grappoli.
L’ALTENO DI TENUTA CARRETTA
Una traccia di “vite maritata” rimane anche a Tenuta Carretta. Non in forma fisica, ma come residuo toponomastico. Nei pressi della cantina, tra i filari che si snodano immediatamente a Est dell’ingresso alla corte, c’è un poggetto che prende il nome di Alteno della Fontana. È il primo corridoio vitato della Grape’s Road, il percorso di vine-trekking che Tenuta Carretta mette a disposizione di tutti visitatori, percorribile in autonomia e commentato da un’audioguida scaricabile gratuitamente sul proprio smartphone.
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Il toponimo del luogo è citato, per la prima volta, in un documento del 1594, redatto per volontà dei proprietari della Tenuta, i Damiano, consignori di Piobesi d’Alba.
L’area era caratterizzata dalla presenza di una fontana che allietava i viticoltori dal faticoso lavoro della terra. Ma ciò che risalta è il termine “alteno”, che indica proprio la forma promiscua (e quindi non specializzata) della viticoltura antica. Oltre agli alberi, infatti, l’altezza delle viti permetteva la coltivazione di grano, erba medica, foraggio e fagioli. La coltivazione ad alteno, pur faticosissima, doveva essere uno spettacolo di biodiversità naturale straordinario, in cui tutte le colture trovavano una perfetta simbiosi.