Un contratto di concessione a mezzadria, siglato in data 28 novembre 1467: da qui inizia il racconto della nostra storia
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Era il 28 novembre 1467 e, nella sala inferiore con camino del castello di Piobesi, il notaio Giorgio di Monteacuto, intento a svolgere la sua funzione pubblica, redigeva un importante contratto agrario, oggi da noi considerato, se non il primo, il più importante riferimento storico dell’antica vocazione viticola delle nostre terre, quelle della Tenuta Carretta. Con lui, c’erano il consignore di Piobesi Andrea Damiano e i fratelli Corrado, Giacomino e Pietrino Porrino riuniti alla presenza dei testimoni, Enrico Navone e Giacomo Tagliaferro, entrambi del territorio del limitrofo comune di Priocca, con lo scopo di sottoscrivere un contratto di mezzadria, una delle prime forme di regolamentazione del lavoro agricolo. La volontà del Damiano era di concedere una delle sue proprietà terriere, la Tenuta Carretta appunto, ai fratelli Porrino, con l’impegno di coltivarne le terre e raccoglierne i frutti per nove anni. Il documento, scritto in latino volgare su carta pergamena, regolava tutti i vincoli del rapporto, con precisi riferimenti al modo di curare le terre della “cassina Careta”, le stesse dove ancora oggi sorgono i nostri vigneti.
Si tratta di un documento dall’evidente e straordinario valore storico, un vero e proprio elenco, per i mezzadri, dei singoli obblighi e di tutte le procedure da rispettare nelle diverse coltivazioni. Si legge, per esempio: “tutte le terre e le proprietà saranno seminate almeno alla quarta aratura ossia al quarto solco e più; e tutte le messi, biade e segale, nonché i legumi, i grani invernali e tutti i frutti esistenti e nascenti da detti possessi saranno raccolti e condotti alla cassina Careta”. Per quanto concerne le viti “i fratelli Porrino dovranno ogni anno diligentemente potarle, accorciarle e sistemarle e anche scacchiarle; e fare tutto quanto è necessario e opportuno, secondo l’usanza”.
Proprio in merito alle viti, dalla lettura emerge un aspetto di grande fascino, un’esplicita richiesta del nobiluomo riguardante un’area precisa, già allora evidentemente riconosciuta per la maggiore qualità del raccolto. Una clausola del contratto, infatti, faceva riferimento alle viti della collina del Podio, le cui uve dovevano ritenersi riservate al suo uso esclusivo, senza impedimenti da parte di alcuno (“salvo et reservato vites Podi Serre, de quibus se nil impedire teneantur et debeant”). Un’imposizione ai mezzadri che rappresentava una chiara attestazione di qualità del vigneto, un caso a quel tempo unico nella storia della regione. Infine il documento si conclude, come da rito, con il giuramento fatto da ognuna delle parti: “i fratelli e ognuno dei presenti giurano sui santi Vangeli, toccate materialmente le sacre scritture nelle mani di me notaio, in vigore del quale giuramento, gli stessi fratelli nonché lo stesso signore rinunciano del tutto ad ogni eccezione”.