Insieme a Roberto Giacone, winemaker di Tenuta Carretta, scopriamo come nasce il Cayega
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Non tutti i grappoli di Arneis diventano Cayega. Ecco il percorso fatto dagli acini che ambiscono alla corona dorata.
A fine vendemmia e con il lavoro in cantina ormai avviato, riusciamo a fare qualche domanda a Roberto Giacone, direttore tecnico di Tenuta Carretta. Il desiderio è di farci raccontare come, annata dopo annata, nasce il Roero Arneis Cayega Docg. Il morale è alto: la vendemmia è andata molto bene e l’uva, sin dalle prime fasi della vinificazione, ha risposto davvero alla grande.
Dunque Roberto, volendo svelare ai nostri amici i segreti della bontà del Cayega, cosa diresti?
Sembrerà banale, ma la storia del Cayega inizia dalle nostre colline. La vinificazione è fatta esclusivamente con uve coltivate nei vigneti di proprietà. L’arneis è una varietà molto delicata, esige tanta attenzione e cura. Siamo noi a seguirla durante la maturazione, accompagnandola fino alla raccolta, che viene eseguita completamente a mano. L’avere i vigneti vicino alla cantina è un aspetto importante per chi ambisce ad alti livelli qualitativi, perché consente di ridurre il tempo di permanenza delle uve nelle ceste, preservando la loro freschezza.
Giunti in cantina, qual è il percorso dei grappoli?
L’uva viene pesata e valutata visivamente, per constatarne il livello di sanità. Successivamente svolgiamo due analisi sull’acino. Quantifichiamo, cioè, il suo grado zuccherino e l’acidità. Dopodiché inizia il ciclo di trasformazione: l’uva è mandata in pressa il più integra possibile e sottoposta a una pressatura molto soffice, di massimo 1,2 bar. Tradizionalmente l’Arneis viene lavorato in riduzione, questo significa che vengono saturate, e quindi riempite al loro massimo livello, tutte quelle componenti che entrano a contatto con il mosto, come le presse, le vasche di raccolta e quelle di decantazione. L’obiettivo è di evitare il più possibile i rischi di ossidazione.
L’uva diventa mosto, e poi?
Al mosto ottenuto vengono aggiunti degli enzimi per ottenere un primo illimpidimento. La temperatura è abbassata intorno ai 15°C, così da evitare che il succo d’uva tenda spontaneamente a fermentare per via dei suoi lieviti indigeni, e cioè di quelli presenti sulla buccia degli acini d’uva, artefici della trasformazione degli zuccheri in alcool. Dopo circa 12-14 ore si sviluppa una separazione tra il limpido e il torbido. Qui vengono inoculati i lieviti selezionati che, nel giro di 24 ore, danno avvio a una buona e regolare fermentazione. La presenza dei lieviti assolve una funzione fondamentale: fungono da forti agenti antiossidanti e consentono un impiego minimo di anidride solforosa, quindi una sostanziale riduzione del livello dei solfiti nel vino.
Quanto dura la fermentazione?
La fermentazione a volte si protrae fino a 25/30 giorni. La durata dipende anche da alcune caratteristiche del mosto, come per esempio il grado zuccherino: maggiore è il suo valore, più tempo impiegherà la fermentazione per trasformarlo in alcool. Quest’anno, per esempio, l’ottimo livello di sanità dell’uva ha allungato i tempi fino a 27/28 giorni. Ciò soprattutto perché, per nostra scelta, la fermentazione avviene lentamente, a una temperatura relativamente bassa (dai 16°C ai 18°C). Così facendo, riusciamo a estrarre dal mosto profumi di grande finezza ed eleganza.
Cosa succede al mosto fermentato?
Successivamente la temperatura viene abbassata intorno ai 5-6°, per fermare l’avvio delle seconda fermentazione: quella malolattica. Quest’ultima è la trasformazione dell’acido malico, presente in natura nell’uva, in acido lattico. Viene fermata nei vini bianchi, perché si preferisce conservare quell’asprezza e quei profumi erbacei proprio dell’acido malico che, contrariamente, andrebbero persi. Dopo un giorno o due, avviene il primo travaso: vengono allontanate le fecce grossolane e si ottiene un vino torbido, cioè caratterizzato ancora dalla presenza dei lieviti in sospensione, che nel corso dell’affinamento andranno a sedimentarsi. Da qui, inizia l’affinamento in acciaio.
In cosa consiste l’affinamento?
Il vino è mantenuto a una temperatura bassa e, almeno due volte al mese, viene rimescolato per portare nuovamente in sospensione i lieviti, cosi da far cedere dalle loro pareti cellulari le sostanze nobili. Un processo che continua per 4/5 mesi, dopodiché inizia la fase di preparazione del vino. Prima dell’imbottigliamento, il vino viene chiarificato e filtrato. Così, nasce il Cayega.
Roberto, in conclusione, qual è il tuo giudizio sul Cayega 2016 che verrà?
Il 2016 sarà un’annata di grande spessore. Le ottime condizioni climatiche hanno aiutato tanto il nostro lavoro, sia nei vigneti che in cantina. La buona maturazione delle uve e l’alto grado zuccherino hanno prodotto una struttura alcolica rilevante. Inoltre, la raccolta iniziata la prima settimana di settembre porterà nel calice una buona acidità. La complessità del Cayega è frutto di una materia prima di grande ricchezza. Ed è questo il segreto del nostro Roero Arneis e quindi di Tenuta Carretta: avere delle uve prodotte da circa 22 ettari di vigneti coltivati in condizioni diverse per esposizione e altitudine. Appezzamenti più esposti al sole, che donano struttura e alcolicità, e appezzamenti di bassa collina, che portano freschezza e profumi.