Cantina

Tenuta Carretta racconta… dal “Nebbiolo dei Roeri” al “Nebbiolo del Roero”: la Docg Roero

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Fino agli anni ’70 , tra le province di Asti e Cuneo, il Roero non veniva ancora distinto come zona geografica a se stante. In quegli anni, si parlava e si scriveva solo di Monferrato e di Langhe. Il Monferrato, includeva tutte le terre alla sinistra del fiume Tanaro, mentre le Langhe, erano i territori alla sua destra.

Ciò che invece rientrava nel lessico degli uomini del vino era “il Nebbiolo dei Roeri”, questo perché, i tanti comuni, le laboriose popolazioni, l’immensa storia, i numerosi personaggi e le antiche famiglie nobiliari, hanno da sempre contraddistinto questa area e rappresentano un solido patrimonio antropologico, grazie al quale oggi possiamo raccontare il luogo in cui nascono i nostri meravigliosi vini.

A metà degli anni ’80, con il riconoscimento della Doc Roero, si inizia a identificare il Roero come zona vitivinicola autonoma e quindi, non più inclusa in quello che era il vasto territorio del Monferrato. Da qui, la comunicazione si evolve, il lessico cambia, e “ il Nebbiolo dei Roeri” diventa “il Nebbiolo del Roero”, fino a giungere, a metà decennio scorso, all’avvento della Docg Roero.

Il Nebbiolo è una delle varietà di uva da vino più importanti e apprezzate dell’immenso patrimonio ampelografico italiano. Negli ultimi decenni, un attento lavoro di ricerca in campo e in laboratorio ha consentito l’iscrizione, presso il Registro Nazionale delle varietà di Vite, di quattordici cloni di questo vitigno. Nel passato, la cultura popolare, fondamentalmente empirica, distingueva solo tre tipologie di nebbiolo, conosciute volgarmente con i nomi di Lampia, Michet e Rosè.

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Da un punto di vista morfologico, una caratteristica singolare della vite di nebbiolo è rappresentata dal suo apparato radicale, di particolare lunghezza: fino a 7 metri. Un aspetto che favorisce la vegetazione della pianta, dandole la possibilità di estrarre, nei diversi strati del terreno in cui vegeta, minerali e sostanze naturali eterogenee. Ma non solo. Quest’ultimo particolare, e cioè la dimensione e la solidità delle radici, innesta un naturale processo virtuoso: maggiore è la parte interrata della vite, più vigoroso è l’apporto alla struttura esterna della pianta, e quindi al grappolo d’uva, e maggiore sarà la qualità del vino da cui trae origine.

A nord del fiume Tanaro, dove la biodiversità si manifesta su colline scoscese e ricche di sabbia, la particolare composizione del terreno e il singolare microclima contribuiscono all’ottenimento di un vino elegante e di forte personalità, che preserva il caratteristico tannino allegro dell’uva e, allo stesso tempo, mantiene una perfetta armonia gusto-olfattiva, regalando note intensamente fruttate e floreali.

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Il disciplinare di produzione del Roero Docg, ufficializzato nel 2006, prevede l’utilizzo del 95% minimo di uve nebbiolo e un periodo di invecchiamento di almeno 20 mesi, di cui 6 in legno, calcolati a partire dal 1° Novembre dell’anno di vendemmia; nella tipologia “Riserva”, l’invecchiamento minimo sale a 32 mesi, di cui 6 in legno, sempre dal 1° Novembre dell’anno di vendemmia. Per il vino Roero Docg, la messa in commercio è consentita a partire dal 1° Luglio del secondo anno successivo alla vendemmia, e per la sua tipologia Riserva, dal 1° Luglio del terzo anno dalla vendemmia.

Il Roero Docg di Tenuta Carretta è il “Bric Paradiso”: un vino di grande fascino e struttura che, dalla vendemmia 2011, è offerto solo in versione “Riserva”. Il nome “Paradiso” riprende un antico toponimo utilizzato fin dal XV secolo nelle proprietà della tenuta e indica il vigneto posto più a est del complesso di Piobesi d’Alba. Note d’archivio, datate 1594, testimoniano la storicità di questo nome, presente sulle mappe topografiche sin dai tempi dei Conti Damiano, fondatori della tenuta.

Il vino è ottenuto utilizzando esclusivamente uve nebbiolo, poi affinato in piccole botti di rovere francese per 18 mesi e per altri 6 in bottiglia. Nel calice si presenta con un colore rosso rubino intenso, che sull’unghia evolve nel granato. Ricorda profumi di piccoli frutti rossi maturi, come il lampone e le fragoline di bosco, oltre a piacevoli note floreali di viola. Il gusto è morbido, armonico e persistente, ed esprime una buona acidità e un tannino setoso.

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